domenica 14 settembre 2008

Figli di Annibale

Ci sono dei lutti che lasciano un segno, scorticante come un tatuaggio profondo. Al di là del dolore del distacco, ti impongono di crescere dopo avere attraversato il lungo sentiero della compassione. Per me è successo, a livello simbolico e intellettuale, con la morte prima di Pier Paolo Pasolini (2 novembre 1975), poi di Enrico Berlinguer (11 giugno 1984). Questi due lutti hanno da un lato affinato in me la crescita culturale e la sensibilità sociale, dall’altro hanno consolidato la militanza politica. La scomparsa, per me più lacerante, è stata naturalmente quella di mio padre, rispetto a cui l’elaborazione del lutto è durata parecchio tempo. E adesso devo fare i conti con l’assenza di Annibale.
L’amicizia, la fratellanza con lui è iniziata immediatamente, appena sono arrivato a None quattordici anni fa. L’ho conosciuto tramite Mariella. Come Mariella, tutti coloro che lo frequentavano di lui mi avevano detto un gran bene, sottolineandone le doti umane e i valori morali. In un certo senso io, figlio spurio di questo paese, l’ho subito adottato come un fratello maggiore. O meglio come una specie di padre putativo. Il suo volto mi ricordava l’immagine di Socrate, ovvero quella testa un po’ barbuta e calva che l’iconografia classica ci ha restituito. In effetti, come un discepolo socratico, su Annibale ho fatto affidamento, l’ho scelto come maestro e mi sono messo sul suo cammino. Ho apprezzato la sua fedeltà alle due istituzioni da lui predilette: il partito (nelle sue lunghe trasformazioni acronime e ideologiche: PCI – PDS – DS – PD); il sindacato. Nella militanza nello stesso partito di una sinistra trascolorante abbiamo fatto un percorso abbastanza lungo, snocciolando un rosario di successi gaudiosi e dolorose sconfitte. Forse l’insuccesso più cocente è stata l’ultimo, nel quale Annibale ancora una volta si è messo in gioco con la sua spontanea dedizione e la sua connaturata generosità. Purtroppo Annibale se n’è andato in uno dei momenti più critici della vicenda italiana, in cui risalta in tutta la sua virulenza la volgarità dei nuovi potenti che stanno frantumando quanto di più caro è scritto nella storia patria e stanno facendo di tutto per abbattere quel mondo solidale e accogliente che Annibale ha contribuito, con l’esempio e la testimonianza, a realizzare. Per loro può valere il medesimo giudizio che Pasolini formulò a proposito dei “potenti democristiani” nel suo articolo delle lucciole.
“… i nostri potenti continuano imperterriti i loro sproloqui incomprensibili: in cui galleggiano i flatus vocis delle solite promesse stereotipe. In realtà essi sono appunto delle maschere, non si troverebbe nemmeno un mucchio d’ossa o di cenere: ci sarebbe il nulla, il vuoto”.
Era sempre il primo a proporsi per ogni iniziativa politica e sociale e a coinvolgere gli altri. Quante manifestazioni a Roma con altri compagni che adesso non ci sono più! Pensavamo – quante illusioni e speranze – di poter vivere finalmente in un mondo, non dico migliore, ma almeno più salubre.
Il caro Annibale ci lascia un’eredità pesante. Mancheranno in noi discepoli la lungimiranza del suo pensiero e il rigore del suo giudizio; mancheranno il carattere conciliante e la diplomazia disarmante di lui che era così capace di interporsi e mediare nelle situazioni più critiche. Perché, ammettiamolo senza reticenze, nessuno dei suoi figli ha dimostrato di identificarsi totalmente nel suo esempio. Quanti sono veramente in grado di dedicarsi alla vita della comunità, dando anima e corpo, senza pretendere nulla in cambio, senza esigere di ricoprire cariche od occupare posti! Quanti ritengono più giusto svolgere una politica di servizio, mettendo da parte egoismi e narcisismi, in nome del bene comune!
Forse, però, c’è in ognuno di noi una molecola scintillante di quello che egli era e dobbiamo essere degni di alimentare questa fiammella. Se non seguiremo in pieno il suo esempio, cerchiamo almeno di avvicinarci ad esso.
Mi piace ricordare un aneddoto. Una volta ho litigato con lui. Un conflitto non a colpi di fioretto, ma a spada sguainata. Io con la mia isteria, lui con la fermezza del suo giudizio e la sua calma disarmante. Ne sono uscito con le ossa rotte e la coda tra le gambe. Questo era Annibale. Anch’io voglio sentirmi un po’ suo figlio
Perché, come canta la canzone degli Almamegretta: “… un po’ di sangue di Annibale è rimasto a tutti quanti nelle vene…”

1 commento:

scrivano ha detto...

Non avuto il privilegio di conoscere Annibale ma ne ho sentito parlare un gran bene. Da ciò che ho udito credo possa applicarsi a Lui la frase :"I grandi uomini, i veri saggi, non hanno bisogno di scontrarsi, si limitano a fare luce, sono come le candele, illuminano consumandosi"!

C. Scrivano