
Abbiamo lasciato alle spalle una stagione torrida: tra le migliaia di persone, soprattutto anziane, che sono letteralmente svaporate nel caldo rovente e soffocante dell’estate scorsa, alcune appartenevano alla nostra comunità. Non sto ad indagare se siano morte per il caldo o per altra ragione, ma da qui voglio partire per cercare di intendere cosa significhi essere cittadino di None, ovvero che senso abbia fare parte di una comunità di uomini e donne, che vivono nel medesimo territorio, nello stesso agglomerato urbano, dentro i medesimi confini.
Una volta un antropologo, in un paese dell’America Latina, assistette alla visita che l’intera comunità volle fare ad una donna anziana e malata. Tutto il villaggio si era messo in coda per entrare dalla vecchia che giaceva sul suo pagliericcio. Lo studioso occidentale avvicinò uno degli abitanti del villaggio e gli chiese perché tutti piangessero, visto che la donna non era ancora morta. Quello rispose che tutti si proponevano di testimoniare quanto le avevano voluto e le volevano ancora bene.
Da un’altra parte, sempre nell’America meridionale, il cordoglio, di fronte alla morte di un indigeno, è esternato da una duplice manifestazione: il pianto e il riso. Lagrime miste a stridenti risate. Si piange per il lutto e il commiato dalla persona cara, si ride perché l’anima del defunto sta per intraprendere il suo ultimo importante viaggio verso il giardino del sole, da loro considerato ameno luogo di vacanza eterna. I due esempi citati vogliono dimostrare il senso di appartenenza alla comunità, la condivisione del medesimo destino, nel senso che il destino di ciascuno è il destino di ogni altro essere umano che fa parte della medesima polis. Questa parola greca è fondamentale. Da essa deriva la scienza della politica. A sua volta la parola “politica” deriva da un aggettivo greco: “politiké”.“Techne politiké” è la politica, è l’arte della polis. Nello specifico polis per gli antichi greci segnalava uno spazio ben definito, un luogo reale, dove si viveva e nel quale ciascuno consumava la propria esistenza. Ma non solo. Definiva anche tutta la rete di relazioni che si stabilivano tra gli uomini che risiedevano in un determinato territorio, che calpestavano il medesimo suolo. Aristotele, grande filosofo greco, definiva l'uomo “animale politico”. Animale come tutti gli altri animali, provvisto di sensibilità e con le medesime funzioni biologiche di qualsiasi altro mammifero. C’è tuttavia una differenza sostanziale: l’uomo è costretto a vivere insieme ad altri, deve vivere in comunità. Il concetto di comunità è vecchio come il cucco. Non c’è alcuna società umana che non sia un mélange di comunità. Queste si possono incrociare, ma ognuna possiede un’identità specifica.
Sia ben chiaro: anche altri animali vivono in comunità, ma il loro modo di vivere in comunità è affatto diverso: è di tipo subalterno. Così dicono gli antropologi. Funziona così il branco. L'uomo, invece, non vive da “gregario” in comunità, ma realizza la sua comunità, crea il suo sistema di relazioni. Una costellazione di rapporti umani. Fatte queste premesse, riprendo la domanda iniziale: cosa significa essere cittadino di None? E do un esempio per me significativo. Una sera di ottobre, esattamente un martedì di qualche anno fa, mi sono sentito a pieno titolo un cittadino di questa comunità. Mi è capitato, come già altre volte, di sentirmi in empatia con alcuni amici di questo paese, forse grazie al vinello vivace delle terre del sud e alla soppressata di Calabria, che regnavano sovrani sulla tavola. L’empatia è una parola magica: è la capacità di cogliere il mondo interiore dell’altro. Proprio quello che è accaduto, quella sera, a ciascuno dei convitati, il quale, infatti, ha messo al centro la dignità della persona, non l’ha ritenuta un oggetto da manipolare, per “il suo bene” o per soddisfare il proprio bisogno di autorità. Tutti non hanno fatto che ascoltarsi e ridere e piangere, parlando di cibo e di politica, dei bisogni della nostra comunità e dei bisogni di comunità lontane, non certo estranee alla nostra.
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