domenica 16 novembre 2008

Le magnifiche sorti della scuola italiana grazie alla ministra col grembiulino

E ci voleva un ministro come Maria Stella Gelmini, padana doc dagli studi non proprio eccelsi (da quanto si legge), con la ciliegina sulla torta di un esame da avvocato sostenuto a Reggio Calabria - là dove una quantità bulgara di candidati è solita approdare da ogni landa italiana per sostenere esami di Stato più blandi, visto che nelle sedi settentrionali l’esame per l’iscrizione nell’albo, più ostico, falcidia il 94 per cento dei partecipanti.
A tale proposito, mi si permetta un inciso. Ai padani antiterroni, quando fa comodo, piace andare a soggiornare in quelle terre, dove, più che il merito, contano le raccomandazioni, il nepotismo, il familismo e tutto l’armamentario delle buone relazioni, per raggiungere immeritati traguardi. Insomma, tornando a bomba, ci voleva un ministro col grembiulino, per realizzare la peggiore “riforma” della scuola. Ahinoi! Forse la signora ha bisticciato un po’ con l’istituzione scolastica, considerato il suo contraddittorio e poco scintillante percorso formativo, per poter mostrare un autentico amore per il ministero che rappresenta.
Memorabile la sua performance in una delle conferenze stampa a fianco del premier, quando ad ogni sua parola ringhiosa contro gli studenti “facinorosi” e la sinistra “scandalosa”, lei non faceva altro che, sia pure impercettibilmente, annuire, come quei cagnolini di peluche che si mettono in auto e tentennano il capo ad ogni sobbalzo. O come la “secchiona” della classe che, seduta al primo banco, lo sguardo devoto ed estatico verso l’insegnante, oscilla garbatamente la testolina ogni volta che quello apre bocca.
La signora Gelmini non è così algida come la signora Moratti, ministro dell’Istruzione nel precedente governo Berlusconi, anzi tiene sempre a sottolineare quanto pelo virile abbia sullo stomaco per non essere da meno rispetto al nerboruto e forzaiolo suo Idolo di riferimento.
Anzitutto è difficile pensare che la legge Gemini abbia la consistenza qualitativa di una vera riforma, da molti auspicata. Per realizzare un rinnovamento del mondo della formazione nel suo complesso, l’arrogante “signora” avrebbe dovuto esplorare meglio il continente della scuola, magari ascoltare chi ci lavora, le famiglie e gli studenti (invece di incontrarli a consuntivo). Forse avrebbe scoperto un territorio e un popolo del tutto diversi dalla rappresentazione che ha voluto deliberatamente prefigurare dentro la sua testolina così asettica. Invece, ha scelto di andare avanti, con la stessa scellerata strategia di Napoleone nelle steppe russe, prima di essere costretto alla ritirata. Anche per lei, probabilmente, arriverà il generale inverno a respingerla nella sua ieratica e inconsistente fissità. Che si trattasse di un vero e proprio progetto distruttivo del ruolo della scuola pubblica, lo si deduce anzitutto dagli incredibili colpi di machete che, nella sudditanza alle pulsioni economico-creative di Tremonti e al rancore pantagruelico contro il pubblico impiego del professor (ci tiene tanto al suo titolo!) Brunetta - era meglio la brunetta dei Ricchi e Poveri - il governo destroide ha scelto di assestare contro di essa. Lo si deduce poi dal percorso a piombo scelto: dritti alla meta, senza nessun riferimento significativo all’abecedario pedagogico.
Grazie, ministra! La vuole ringraziare, in modo particolare, un ragazzo di sedici anni che ogni giorno viene ad affacciarsi alla cancellata della scuola media, quando gli alunni escono nel cortile per l’intervallo. Uno di quei ragazzi “perduti senza collare”. Mi ha incuriosito la costanza quotidiana dell’adolescente nel girare come un satellite ad orbita fissa attorno al pianeta scuola. L’ho avvicinato e gli ho chiesto la ragione che lo portava nelle vicinanze dell’edificio scolastico. Mi ha guardato serio e mi ha risposto: “So di non avere combinato nulla durante gli anni della scuola media. Adesso giro a vuoto, mi piacerebbe tornarci, almeno lì c’era qualcuno che si preoccupava di me”. Nessun ministro dell’Istruzione, sia pure ideologicamente muscolosa come la Gemini, è in grado di cogliere il significato profondo di quelle parole. Gli insegnanti, quelli motivati e preparati (sono tantissimi!), hanno fatto loro il tanto deprecato (dai menefreghisti) slogan di Don Milani: I care. Ovvero continuano a prendersi cura, a farsi carico dei bambini e dei ragazzi, per cercare di trasformarli in cittadini consapevoli.

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