Ogni volta che c’è un dibattito nella sinistra emerge in maniera netta che, a giudizio di qualcuno, ci sono coloro che nel tabernacolo del proprio corpo custodiscono un’anima nobile, bella e pura, e quelli a cui questo dono è sottratto.
Negli ultimi mesi anche a None, infatti, a proposito della parola “anima” si è fatto un vero e proprio abuso. C’è stato infatti chi, a più riprese, ha rivendicato il diritto all’esistenza della propria anima, preso dal sospetto che essa non fosse rappresentata, come meritava, all’interno di quello straordinario laboratorio politico che è stato il progetto di “Solidarietà e Progresso”. Così, negli innumerevoli incontri che si sono svolti tra le diverse componenti (anime) dello schieramento per trovare la quadra in vista dell’appuntamento elettorale di giugno, si è svolta una dotta e impegnativa disquisizione teologico-filosofica sul significato e la rappresentatività dell’anima. Io pure, per mio personale interesse, ho cercato di approfondire l’argomento. Alla fine della mia ricerca, applicando il metodo scientifico, ho voluto sperimentare innanzitutto su me medesimo se anch’io fossi possessore di un’anima, meritevole di cotanta attenzione. Ho cominciato prima ad esplorare negli anfratti del mio misero corpo, poi ad auscultarmi, per intercettare eventuali soffi, pulsazioni, segnali di quell’agglomerato atomico-cellulare, chiamato anima. Questo è il dilemma a cui ho cercato di dare risposta: è una sorta di maglietta intima, inizialmente immacolata, poi ridotta ad un indumento logoro e immondo, oppure una specie di fuoco sempre vivo, barbagliante all’altezza del cuore, termometro della sfera emozionale?
Alla fine sono arrivato a questa conclusione: qualunque cosa sia l’anima, mi sembra azzardato magnificarne l’imperscrutabile bellezza ed esclusiva virtù, almeno fino a quando non intervenga il bisturi divino per provvedere ad un’accurata dissezione.
martedì 31 marzo 2009
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