domenica 19 luglio 2009

Epistula ad Bastinum

Caro Domenico, approfitto del vostro virtuale spazio democratico, ove improvvisamente, come tanti fuochi d’artificio, sono scoppiati i botti del capodanno della nuova amministrazione, per rivolgermi personalmente a te. Dall’ultimo nostro confronto, avvenuto un sabato pomeriggio di non so quanto tempo fa, non siamo più riusciti a parlarci. Te ne sei andato da quel consesso piuttosto stizzito, dicendo che tanto avevi altri spazi più autorevoli di discussione. E questo mi dispiace. Capisco che il respingimento delle “primarie” è considerato “colpa incancellabile”, però mi sembra che mantenere (chissà per quanto tempo) questi toni così effervescenti sia poco produttivo. Più che altro da parte vostra c’è un notevole foraggiamento di spunti polemici ad un’opposizione alquanto asfittica.
Una domanda mi sorge spontanea (e nel proportela mi straccio le vesti), sei ancora iscritto al liquido, semiliquido, gassoso, solido partito democratico? Te lo chiedo, perché di fatto sei svaporato, come altri iscritti! E se ancora ti consideri iscritto e credi nel progetto, che tipo di contributo pensi di poter consegnare per un maggior e migliore assetto di esso? Stiamo preparando il congresso: hai qualche contributo da dare alla discussione?
Certo che ne è passata acqua sotto i ponti! Mi ricordo (per me è un’ossessione) quando, dieci anni fa, all’interno dei DS fummo costretti ad affrontare la spinosa questione “Giarrusso”, personaggio scomodo per chicchessia. Io (in quanto segretario) ed altri buoni compagni (Annibale, Contu in prima linea), ci sbattemmo a destra e a manca per fare in modo che il succitato non vi desse nessun fastidio, perché tu eri restio a fare qualunque tipo di mediazione. Naturalmente c’era un prezzo da pagare e in quel caso pagò dazio la sezione di None, che noi, finite le elezioni, fummo costretti a consegnare come un pacco dono nelle mani di Giarrusso.
Allora, mi chiedo, che differenza c’è tra quanto accaduto allora e gli avvenimenti attuali? Perché continuate ad esibire la vostra rinuncia come un titolo di merito, come un grande sacrificio, vista l’acrimonia con la quale sostenete le vostre ragioni? Quale prezzo avete dovuto pagare, in particolare tu? Probabilmente hai dovuto rinunciare a governare il paese dall’alto della tua credibilità, autorevolezza, essendo tu circonfuso da un concetto molto più serio dell’amministrazione rispetto a chi governerà il paese per i prossimi cinque anni?
Due lustri fa consegnammo il partito, nel quale tutti confidavamo, in mani nemiche. Non ci furono grandi pianti o ringraziamenti per il sacrificio di allora.
Ti ricordo altresì che proprio tu, in una riunione presso la federazione di corso Vinzaglio, segretario provinciale Rocco Larizza, facesti il nome di Ignazio Drago, come segretario di sezione capace di tenere insieme la componente storica del partito e l’anima dei nuovi avventurieri. E adesso, in questa nuova fase critica, perché non l’hai nemmeno tenuto in considerazione, questo buon funzionario di antico pelo, che si è impegnato con ogni energia per cercare di raggiungere una possibile mediazione? Vedi, io sono uno di quelli che ancora crede nel partito, per ciò che rappresenta e per il contributo che può dare alla società (l’ho imparato bene da Mario, che sempre ha difeso l’esistenza dei partiti). Mi accorgo, invece, che questa antica e tradizionale istituzione con le sue pur obsolete discipline non è più nel gradimento, né dei giovani, né purtroppo dei vecchi adepti.
Vieni a discutere un po’ con noi, se hai del tempo da ritagliare rispetto a tutte le cose importanti che fai (apprezzo molto, e lo dico con tutto il cuore, il tuo ruolo di maestro degli stranieri). Non avere tutta questa diffidenza nei confronti di chi ti ha seguito in battaglie altrettanto complicate.

Voglio che tu sappia che non faccio fatica a sviluppare questi pensieri. Più di una volta ho cercato di affidarteli ma tu, purtroppo, hai ogni volta fatto orecchie da mercante.
Mi rendo conto che ai giovani virgulti che pullulano qua e là non stiamo dando un bell’esempio di sobrietà, con i nostri probabili sproloqui, ma ogni parola scritta è una corda tesa, su cui è possibile muoversi in equilibrio con una penna adeguata, finché naturalmente la corda non si spezza (non so chi abbia detto questa ‘cazzata’, ve la consegno sic).

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